Colombari di via Taranto

I due sepolcri sorgono in un’area attraversata in antico dalla via Latina e dalla via Labicana, un territorio a destinazione agricola caratterizzato dalla presenza delle imponenti arcate dell’Aqua Claudia.

L’inquadramento topografico

I due sepolcri sorgono in un’area attraversata in antico dalla via Latina e dalla via Labicana, un territorio a destinazione agricola caratterizzato dalla presenza delle imponenti arcate dell’Aqua Claudia.
 A partire dal 1122 nella zona correva il canale a cielo aperto dell’Acqua Mariana o Marrana (da mara, paludoso, stagnante), realizzato da Papa Callisto II. Il condotto, adibito all’irrigazione e alla produzione di forza motrice per molini e attività artigianali, aveva origine nei pressi di Frascati. Raggiunte le Mura Aureliane, ne seguiva il tracciato per poi entrare in città da Porta Metronia.
 Il territorio, occupato da vigne e casali, conservò il suo carattere agricolo fino a tutto il XIX secolo. Solo nel 1909 i terreni posti lungo il tracciato di origine medievale della via Tuscolana furono inseriti tra le aree edificabili. A seguito dell’intensa urbanizzazione il percorso dell’Acqua Mariana fu deviato e congiunto all'Almone. Pertanto la memoria del suo passaggio entro il tessuto urbano è andata perduta.

I sepolcri
 La scoperta dei due sepolcri avvenne nell’estate del 1932 durante i lavori per la costruzione del fabbricato sito al civico 2 di via Pescara; il primo fu individuato il 29 giugno, il secondo qualche giorno più tardi. In entrambi si entrò dall’alto, praticando un foro nella muratura della volta, e fu subito evidente il loro ottimo stato di conservazione.
 Colombario 1: attraverso una porta fiancheggiata da due finestre a feritoia si accede alla camera sepolcrale con pavimento in terra battuta.
 Il sepolcro, di tipo familiare, fu predisposto per un ridotto numero di deposizioni: sulle pareti corte sono presenti due edicole a tempietto contenenti due urne per le ceneri dei defunti, sulla parete lunga si aprono tre nicchie con urna singola. L’attribuzione del monumento è impossibile per la totale assenza di iscrizioni sepolcrali.
 L’interno si presenta ricoperto da intonaco con decorazioni su fondo bianco: la parte inferiore della parete lunga presenta un alto zoccolo a imitazione dell’opera quadrata, sulla quale poggiano due anfore; in alto, nastri e ghirlande. La volta è ornata da riquadri disegnati da linee rosse, al centro dei quali è rappresentata una rosa.
 Il sepolcro è databile tra la fine del I secolo d.C. e i primi decenni del II.
 Colombario 2: una porta fiancheggiata da due alte feritoie incorniciate da lastre marmoree dà accesso al sepolcro, anch’esso pavimentato in terra battuta.
 Sulle pareti sono presenti dieci piccole nicchie, in ognuna delle quali sono murate due urne in terracotta. Al centro della parete di fondo una nicchia più grande, absidata, doveva ospitare un’urna forse marmorea; al di sotto è murato il calco di un rilievo con figura di fanciullo a cavallo e iscrizione dedicatoria in caratteri greci al fanciullo Veneriano da parte dei genitori. Oltre a questa, si conservano altre quattro iscrizioni graffite sull’intonaco.
 All’interno del sepolcro sono state trovate anche tre sepolture a inumazione.
 La lastra sepolcrale posta sopra l’ingresso è anche in questo caso mancante, ma le testimonianze epigrafiche dimostrano che il sepolcro apparteneva a una famiglia di origine greca.
 Le pareti interne sono rivestite di intonaco dipinto. Particolarmente ricca è la decorazione della volta con figure inserite in campi geometrici colorati su fondo bianco.
 Il sepolcro è databile alla prima metà del II secolo d.C.

I riti funerari
 A Roma sin dalle origini furono praticate, pur con alterna prevalenza dell’una sull’altra, sia la cremazione che l'inumazione. Un’interessante conferma della coesistenza dei due riti funerari è fornita dalla decima tra le leggi delle XII Tavole (451-450 a.C.), nella quale è fatto divieto di inumare o cremare adulti in città.
 Per indicare un sepolcro caratterizzato dalla presenza sulle pareti di nicchie contenenti le urne cinerarie, si utilizza il termine "colombario", coniato nel XVIII secolo per sottolineare l'affinità delle nicchie con i ricoveri delle colombe. I colombari sono attestati soprattutto tra la fine del I sec. a.C. e il I sec. d.C., epoca di maggior diffusione del rito della cremazione.
 Questi sepolcri collettivi accoglievano i soci di una corporazione o i componenti di una stessa famiglia, compresi gli schiavi e i liberti (schiavi liberati). La gestione era affidata a collegia funeraticia, che si occupavano della manutenzione, della compravendita dei loculi e della loro assegnazione.

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